È un’officina in cui convivono artigiani e artigiane dalle lingue diverse, sperimentando nuovi strumenti e nuove espressioni di mondo. Strumenti ed espressioni che il nostro mondo ha abbandonato, o messo da parte ; strumenti ed espressioni che abbiamo inventato e utilizzato magari solo per progetti di mondi nuovi.
Un’officina dove si mettono a punto, insieme, gli strumenti con cui mettersi per mare. Nuove bussole, nuovi astrolabi, nuove carte. Dove si aggiornano gli antichi mappamondi, e dove si segnano nuove rotte.
Thomasproject è uno spazio che non serve. Ma è la nostra urgenza.
L’utopia non è più, se mai lo è stata, un luogo da raggiungere. Un’isola su un altro emisfero in cui fuggire dal grigio delle nostre esistenze. L’utopia è già tra di noi, vive nelle nostre esistenze. L’utopia è fatta di cose concrete: delle nostre libertà, dei nostri corpi, dei nostri pensieri. Vive nascosta, il più delle volte. Vive la sua vita separata: separata dallo sfruttamento a cui è sottoposto il nostro tempo di vita. Vive nell’ansia di resistere al buio, e al deserto in cui una politica ridotta a spettacolo ci vorrebbe costringere.
È una isola sommersa, che va fatta emergere.
Non ha frontiere. Perché non hanno frontiere le nostre esistenze: l’utopia è il pezzo di terraferma a cui vuole approdare il migrante, è il tempo di vita dei nostri desideri, è la gioia che sopravvive accanto ai nostri presunti debiti.
L’utopia è il sorriso dell’Ignoto marinaio di Antonello. È il sorriso con cui possiamo sovvertire il nostro presente. È il sorriso con cui guardiamo chi ci vuole servi. L’utopia è un altro modo di pensare la nostra giornata. È la nostalgia del tempo perduto, è la gioia per il tempo che ci resta. È l’inquieta libertà che ci agita ancora. È la certezza che tutto è ancora possibile, diversamente da prima.
Thomasproject è uno spazio comune. È uno spazio in comune, da percorrere insieme. È l’architettura che vogliamo attraversare: da dove non si esce mai da soli.
Thomasproject è il nome che diamo a un progetto antico di almeno 500 anni. Da quando circola, incompreso e straniante, il nome di “utopia”: Thomas More, 1516. È un progetto di ri-esistenza e di rivolta: Thomas Müntzer, 1525. Ma è un progetto che porta in sé le date di tutte le utopie e di tutte le rivoluzioni sconfitte: di tutte le brecce in cui la storia si è aperta per poi richiudersi subito. È il progetto di quanti non si accontentano che la loro storia sia raccontata da altri. È la memoria di ciò che è accaduto, la memoria di ciò che è possibile.
THOMAS PROJECT
Thomasproject è uno spazio utopico.
È un’officina in cui convivono artigiani e artigiane dalle lingue diverse, sperimentando nuovi strumenti e nuove espressioni di mondo.
Strumenti ed espressioni che il nostro mondo ha abbandonato, o messo da parte ; strumenti ed espressioni che abbiamo inventato e utilizzato magari solo per progetti di mondi nuovi.
Un’officina dove si mettono a punto, insieme, gli strumenti con cui mettersi per mare. Nuove bussole, nuovi astrolabi, nuove carte.
Dove si aggiornano gli antichi mappamondi, e dove si segnano nuove rotte.
Thomasproject è uno spazio che non serve. Ma è la nostra urgenza.
L’utopia non è più, se mai lo è stata, un luogo da raggiungere. Un’isola su un altro emisfero in cui fuggire dal grigio delle nostre esistenze. L’utopia è già tra di noi, vive nelle nostre esistenze.
L’utopia è fatta di cose concrete: delle nostre libertà, dei nostri corpi, dei nostri pensieri.
Vive nascosta, il più delle volte. Vive la sua vita separata: separata dallo sfruttamento a cui è sottoposto il nostro tempo di vita. Vive nell’ansia di resistere al buio, e al deserto in cui una politica ridotta a spettacolo ci vorrebbe costringere.
È una isola sommersa, che va fatta emergere.
Non ha frontiere. Perché non hanno frontiere le nostre esistenze: l’utopia è il pezzo di terraferma a cui vuole approdare il migrante, è il tempo di vita dei nostri desideri, è la gioia che sopravvive accanto ai nostri presunti debiti.
L’utopia è il sorriso dell’Ignoto marinaio di Antonello. È il sorriso con cui possiamo sovvertire il nostro presente. È il sorriso con cui guardiamo chi ci vuole servi.
L’utopia è un altro modo di pensare la nostra giornata.
È la nostalgia del tempo perduto, è la gioia per il tempo che ci resta.
È l’inquieta libertà che ci agita ancora.
È la certezza che tutto è ancora possibile, diversamente da prima.
Thomasproject è uno spazio comune.
È uno spazio in comune, da percorrere insieme.
È l’architettura che vogliamo attraversare: da dove non si esce mai da soli.
Thomasproject è il nome che diamo a un progetto antico di almeno 500 anni.
Da quando circola, incompreso e straniante, il nome di “utopia”: Thomas More, 1516. È un progetto di ri-esistenza e di rivolta: Thomas Müntzer, 1525.
Ma è un progetto che porta in sé le date di tutte le utopie e di tutte le rivoluzioni sconfitte: di tutte le brecce in cui la storia si è aperta per poi richiudersi subito.
È il progetto di quanti non si accontentano che la loro storia sia raccontata da altri.
È la memoria di ciò che è accaduto, la memoria di ciò che è possibile.
Per noi. Per il tempo che viene.
Thomasproject è il nostro collettivo.