MESSINA, I BENI COMUNI E L’INCANDESCENZA DI UNA BREVE STORIA

[ITA_Gianfranco Ferraro]

MESSINA. 13 marzo 2017

Tra due giorni, con la votazione del regolamento condiviso sui beni comuni da parte del Consiglio Comunale, si chiuderà in un modo o nell’altro, a Messina, un lungo cerchio iniziato nella forza e nell’effervescenza di diversi anni fa.

E cioè quando si provò a dare senso e sostanza, politica, partecipativa e giuridica, a Messina, a quello che era insieme, fino a quel momento, un insieme di pratiche e uno slogan: beni comuni.

Spero ovviamente che questo cerchio si chiuda davvero, bene, e che il frutto di grandi passioni politiche e di un atto di coraggio collettivo passi senza troppi problemi tra le secche e le paludi della politica di una piccola realtà locale.

Che dalle sabbie mobili di questi anni, per una volta, rimanga per chi viene dopo un luogo fermo, nuovo, in grado di dare vita, se ben usato, a una diversa esperienza di città.

Per due anni non ho più voluto, e potuto, dire più una parola su Messina, e sulla esperienza amministrativa di Accorinti.

Riprendere parola ora significherebbe essere approssimativi, e correre continuamente il rischio di superficialità: significherebbe mettere in fila fatti, persone, scelte, non scelte e decisioni che meriterebbero più di un libro.

Alcuni lo hanno scritto, altri verranno scritti dopo.

Ma penso una cosa, e continuo a pensarla: che in politica, come nella vita, bisogna anticipare i tempi. Essere più veloci delle cose che accadono.

Intorno all’esperienza dei beni comuni di Messina sono nate forze, spunti, idee – mai bisogna dimenticare la prima occupazione del teatro in Fiera da parte del Collettivo Pinelli, così come il sostegno di Ugo Mattei ad Accorinti, o l’invenzione del Laboratorio dei beni comuni – che hanno creato un varco, una breccia, nella storia della città in cui sono nato.

Per una volta, Messina aveva anticipato tempi, modi, forme.

Se fatto passare in Consiglio due anni fa, il regolamento sui beni comuni avrebbe permesso ai messinesi di guardare diversamente la storia di questi anni. E dell’esperienza amministrativa di Accorinti.

Ma la storia non si fa con i se.

Quello che c’è, c’è. Così, da una breccia, per caso e per scelta, può passare molto, o poco: chi sta da parte dell’innovazione delle pratiche, e dalla parte della giustizia sociale, dalla parte di una visione del futuro, e non da quella di un’accondiscendenza all’esistente, non può che sperare con tutte le proprie forze che passi il più possibile.

Quello che si può sperare è che passi oggi un “regolamento”.

Un atto d’ufficio quasi, che altri, dopo, speriamo imparino ad usare.

Una “impazienza della libertà” deve risiedere nelle pratiche che puntano a riscrivere le forme della nostra politica. La storia, che poi non è altro che il modo con cui gli umani danno senso alle proprie azioni che altrimenti sarebbero consegnate al nulla, ha bisogno di nomi, e date. Le rivoluzioni vengono sempre inscritte dentro nomi e forme. La storia dei beni comuni a Messina porta nomi, date, pensieri.

Chi vorrà un giorno scriverla sa dove trovarli: http://www.benicomuni.me/?page_id=524

C’è un però.

Nel buio della storia, anche quella di una piccola città addormentata sul proprio mare, ciò che accade è sempre più forte – è questo che penso bisogna tenere a mente – dei nomi, dei volti e delle storie personali.

Perché ciò che accade riscrive sempre, nella libertà ingiusta della politica, tutto.

Così, la tensione che ha attraversato la storia messinese degli ultimi anni, il Laboratorio dei beni comuni, le occupazioni, i convegni, le biografie, dovrebbe essere rivendicata all’anonimato di forze che compongono l’impazienza della libertà di una città intera.

Chi anni fa fece un passo di lato, lo fece per il mancato riconoscimento di questa incandescenza.

Pubblica.

Ora che è tempo di riconoscere, e di vedere riconosciuto, nuovamente, il lavoro di questi anni, è anche tempo – il giusto tempo – che si riconoscessero non i nomi, ma la potenza che l’incrocio fortuito di biografie e visioni ha prodotto.

Questo, e questo solo dovrebbe essere il metro di giudizio con cui ripensare quanto accaduto con i “beni comuni” a Messina, per farne appunto storia: e con la storia, carne per nuove storie.

Cosa si è fatto, cosa si può fare, e cosa si è perduto, di questa potenza con cui è iniziata a Messina la stagione dei “beni comuni”.