di Luca Onesti, Giorgio Pirina e Giada Coleandro
LISBONA. Attraverso l’inchiesta aperta il 7 novembre dalla Procura generale della Repubblica portoghese, che ha portato alle dimissioni del primo ministro António Costa, è possibile leggere in controluce le criticità di un percorso di transizione ecologica imposto, con un discorso assertivo, dall’alto verso il basso. I quattro progetti su cui si concentrano le investigazioni dei magistrati – due concessioni minerarie per lo sfruttamento del litio nel nord del paese, un impianto per la produzione di idrogeno e un data center alimentati da fonti rinnovabili, entrambi a Sines, città portuale del sud – sono infatti legati in una strategia che propone di fare del Portogallo il pioniere dello sviluppo sostenibile nel contesto dei piani dell’Unione Europea per la decarbonizzazione e la transizione digitale.
Questa strategia, perseguita negli ultimi anni con l’obiettivo di integrare in un sistema e mantenere all’interno del paese alcuni degli anelli della catena del valore delle infrastrutture tecnologiche “green” per la transizione ecologica, prevede una serie di sussidi pubblici (di provenienza statale o comunitaria) concessi a gruppi o consorzi privati. Nonostante la forte enfasi discorsiva sulla transizione verde e il buon successo sul fronte della concessione di finanziamenti europei, nessuno di questi progetti ha però imboccato, sinora, una strada sicura e senza rallentamenti.
Indicato come esempio da seguire ed elogiato dalla Commissione Europea, il progetto H2Sines, per la produzione di idrogeno da elettrolisi dell’acqua di mare, da realizzare attraverso la riconversione di una centrale termoelettrica, non ha mai visto la luce. L’idrogeno “verde” che avrebbe dovuto produrre – il cui immagazzinamento e utilizzo è importante nelle fasi in cui l’energia rinnovabile non è disponibile – in un’ottica di emissioni zero, alle industrie e ai trasporti che non possono sostituire i combustibili fossili con l’energia elettrica, ha difficoltà a competere, per gli alti costi di produzione, con altre fonti energetiche come, ad esempio, il gas naturale.
Per quanto riguarda i progetti di estrazione e lavorazione del litio, una serie di incertezze hanno interessato la possibile sede (Setúbal o, ancora una volta, Sines) di una raffineria da costruire in territorio portoghese, così come l’implementazione di un ciclo completo di produzione e riciclaggio delle batterie. Le difficoltà più forti si sono registrate in questo settore grazie all’opposizione di popolazioni e comunità locali che abitano le aree su cui insistono i giacimenti. Per due di queste aree, Montalegre e Boticas, nonostante le consultazioni pubbliche avessero raccolto opinioni e voci in maggioranza contrarie a nuove estrazioni, è arrivata tra giugno e settembre di quest’anno l’approvazione delle concessioni per lo sfruttamento. L’ “interesse strategico” del litio per la transizione è stato esplicitamente menzionato dall’Agenzia Portoghese dell’Ambiente (il cui presidente, Nuno Lacasta, è tra gli indagati) come decisivo per la valutazione positiva degli studi di impatto ambientale.
In questo contesto, sono diventate evidenti le diverse visioni all’interno dello stesso governo. La sostituzione del Ministro dell’Ambiente João Pedro Matos Fernades con Duarte Cordeiro a marzo 2022 e la promozione dell’allora Segretario di stato per l’ambiente João Galamba (ora formalmente tra gli indagati) a Ministro delle Infrastrutture sono state le mosse più eclatanti di riassetto all’interno dell’esecutivo, segni dell’agitazione che correva sotterranea a proposito della strategia sulla transizione.
A questo disegno calato dall’alto hanno risposto gruppi e movimenti di protesta organizzati su base territoriale, soprattutto per quanto riguarda le proteste contro le miniere di litio, denunciando il rischio per la salute e di contaminazione di aree naturali e di falde acquifere, specialmente nel caso di miniere a cielo aperto per. Altre aree del paese, in alcuni casi con un importante patrimonio paesaggistico e naturale, come le catene montuose della Serra da Estrela e della Serra d’Arga, sono state infatti individuate per le prospezioni e per la possibile futura installazione di miniere.
I movimenti di protesta, collegati in un’ampia rete a livello nazionale e internazionale che unisce diversi gruppi ecologisti, sostengono che la transizione energetica deve adattarsi agli spazi e ai tempi della riproduzione sociale e naturale, senza imporre una traiettoria predeterminata. Invece di considerare quelle che Christos Zografos e Paul Robbins hanno chiamato “zone di sacrificio verde” come l’inevitabile prezzo da pagare per la transizione, questi movimenti portano avanti proposte alternative in cui la riproduzione sociale e ambientale non sono assoggettate alla ricerca del profitto, “dando voce alla terra”, contro il fragore dei progetti estrattivisti.