di Gianfranco Ferraro (ITA_25.06.2021)
Un furto improvviso di armi da una base dell’esercito. Il ritrovamento dopo una denuncia rigorosamente anonima. Il retroscena di una guerra furibonda tra gli apparati segreti dello Stato all’ombra delle sinistre al potere. Un ministro dimissionario. Un “grande pappagallo”, il sottobosco criminale di Lisbona e testimoni controversi, tra chi sa e non dice e chi dice e non sa (tutto). Sembra un capitolo della strategia della tensione degli anni ’80 in Italia, ma siamo nel Portogallo dei “blandi costumi”, Paese Nato.
Lisbona. Due scene, tanto per cominciare. La prima: Aerodromo militare di Tancos, 128 chilometri a nord di Lisbona, sede del Comando della Brigata di Reazione Rapida e dell’Unità di Aviazione leggera dell’esercito, una delle più importanti basi militari delle Forze armate portoghesi: è la notte del 28 giugno 2017. Il Paese è ancora sconvolto dai 66 morti – la più grande strage nel Paese dopo la Prima Guerra mondiale – provocati dall’incendio che, appena dieci giorni prima, ha devastato l’area di Pedrógao Grande, una settantina di chilometri ancora più a nord. Un commando di otto uomini, guidati da un ex fuciliere dell’esercito, João Paulino, si introduce in quindici secondi nella base per uscirne poco dopo con un intero arsenale di armi. Precisamente: 1450 munizioni da 9mm; 212 differenti tipi di granata; 22 coils of wire to be activated by traction; 25 inneschi; 264 esplosivi al plastico; 30.5 KLS blades; 60 esplosivi IKS; 102 esplosivi CCD[1]. Di fronte all’enormità del furto lo Stato maggiore dell’esercito e lo stesso governo di Costa tentennano a dare alla stampa le cifre esatte.
Seconda scena: Lisbona, stazione ferroviaria di Sete Rios, 10 marzo 2017. Da qui partono i convogli e gli autobus a lunga percorrenza per il sud. In un “tasco” poco vicino tre uomini a un tavolino mangiano tranquillamente guardando le foto di una caserma e ne studiano le deficienze degli apparati di sicurezza. Sono João Paulino, ex fuciliere dell’esercito e proprietario di un bar a Ansião, nella regione di Leiria, Paulo Lemos, detto “Serratura” nel sottobosco criminale di Lisbona, e António Laranginha, detto “Zé”. Nella ricostruzione che lo stesso Lemos darà nei mesi successivi, il suo compito, retribuito con 50 mila euro, sarebbe stato quello di identificare il tipo di serratura dei depositi 14 e 15 della caserma: Lemos, arrivato da poco da Albufeira, in Algarve, chiarisce subito ai due amici come sia complicato trovare in Portogallo la chiave per le serrature a croce che chiudono i depositi. Ma non c’è tempo da perdere, se è vero che Laranginha è in contatto con un cliente, appartenente all’ETA basco, pronto a comprare le armi al mercato nero. Pochi giorni dopo Paulino è in Spagna e avverte Lemos di aver acquistato gli apricilindri.
Fin qui, appunto, le due scene madri di un furto che potrebbe essere consegnato ai registri criminale portoghesi senza sollevare troppa polvere. Se non fosse, appunto, che ad essere oggetto del furto – tra i più importanti negli ultimi trent’anni di un Paese Nato – sono le Forze armate portoghesi, se non fosse che il Portogallo ospita, come Paese frontaliero dell’Organizzazione, tra le più importanti basi militari, cruciali per il controllo dell’Atlantico settentrionale, se non fosse che in Portogallo è ormai al potere da due anni uno strano governo appoggiato da uno degli ultimi Partiti comunisti d’occidente, apertamente a favore di regimi come quello cinese, venezuelano e nordcoreano, se non fosse per le reticenze del ministro della difesa, Azeredo Lopes, che sarà costretto alle dimissioni, se non fosse per il legame che il furto assume con il terrorismo internazionale, se non fosse per la guerra interna che viene alla ribalta tra le forze di sicurezza dello Stato, e se non fosse che proprio questo, il “caso Tancos” sia stato utilizzato opportunisticamente come ultima cartuccia dalle opposizioni di Costa, il Psd e il CDS, nel bel mezzo della campagna elettorale, con la richiesta di una Commissione Parlamentare d’inchiesta, proposta immediatamente appoggiata dal Pcp e dal BE.
Perché?
Le cifre del furto, per quanto imponenti, non dicono tutto. Potrebbe trattarsi, ad ogni modo, del risultato dell’inefficienza degli apparati di sicurezza di uno Stato che non riesce a governare neanche gli incendi del proprio territorio, ulteriormente beffato da una combriccola di amiconi che decidono di ottenere un bel po’ di quattrini, e subito. È quanto, sulle prime, il governo di Costa vorrebbe far credere.
La sua importanza è sottolineata, però, da quanto succede poco prima e poco dopo il furto negli ambiti dello “Stato profondo” portoghese.
Andiamo con ordine. Subito dopo il pranzo nella stazione di Sete Rios, Lemos, “Serratura” “si pente” e racconta tutto alla Polizia Giudiziaria di Porto. Lemos è però controllato da vicino dall’amico Nando, informatore di João Paulino, che evidentemente non si fida troppo dell’uomo che gli ha rivelato come entrare nei depositi della caserma. Dunque, Paulino sa, già mesi prima dell’assalto, che la Polizia Giudiziaria di Porto è a conoscenza del complotto. Per la sua importanza, sarebbe ovvio che la stessa Polizia ne abbia preventivamente informato la magistratura, così il ministero della Difesa e dell’Interno. Così come ci sta che Paulino, allertato, intenda modificare i suoi piani, o rimandarli. Tutto ciò che Lemos afferma è che, dopo un secondo incontro con Paulino [bufo da bofia], la Polizia Giudiziaria gli chiede, per ragioni di sicurezza, di rimandare il più possibile ogni incontro con Paulino. Si arriva al giorno dell’assalto, che Lemos racconta di aver appreso solo dai giornali. Telefona a Nando, il quale gli dice che Paulino giura di non essere coinvolto nel furto. Prevedibile, ma in fondo fin troppo. Parlando con Paulino, Nando sa a questo punto di parlare con la Polizia Giudiziaria di Oporto, a cui decide di negare ogni informazione, lasciandola semplicemente con i suoi sospetti, un testimone ambiguo e nessuna prova. È a questo punto però che, con incomprensibile ritardo, la Polizia Giudiziaria di Oporto si muove, decidendo di utilizzare attivamente la sua pedina per ottenere la sua prova e incastrare Paulino. Viene preparata un’esca.
Due domande: perché la Polizia Giudiziaria di Oporto si muove così tardi, ad assalto già compiuto? Perché invece di avvertire gli altri apparati dello Stato, e nello specifico il ministero della Difesa e lo Stato maggiore della difesa, per evitare l’attacco, decide di aspettare che il furto sia compiuto? Perché non utilizzare subito “Serratura”, che è ormai una pedina bruciata, e perché invece utilizzarla a fatto compiuto, in modo per la verità alquanto maldestro, secondo quanto racconta Lemos? L’esca che Lemos deve preparare consiste in questo: presentare ai presunti assalitori un amico irlandese di Albufeira, militante dell’Ira, disponibile a comprare delle granate. Ma l’esca non convince Paulino, e la vicenda si chiude.
È a questo punto che entra in gioco, a fronte del fallimento del maldestro tentativo di recupero da parte della Polizia Giudiziaria civile, la Polizia Giudiziaria Militare, e un altro protagonista decisivo della storia, l’ispettore-capo Vasco Brazão.
È il 18 ottobre 2017, sono passati quasi quattro mesi dal furto, e a una ventina di chilometri da Tancos, nella località di Chamusca, una comunicazione anonima rivela alla Polizia Giudiziaria Militare, diretta da Luís Vieira, che la quasi totalità delle armi sottratte si trova in una fattoria. Le armi vengono così ritrovate. La vicenda sembra sistemata, per quanto sembra che abbiano fatto tutto gli autori del furto, che alla fine si sono decisi a riconsegnare il maltolto. Il caso sembra doversi chiudere rapidamente, una volta individuati gli autori del furto, su cui nel frattempo indaga la magistratura.
Ma c’è un però. Lo stesso giorno del ritrovamento Azeredo Lopes, ministro della Difesa di Costa, si vanta col deputato socialista Tiago Barbosa Ribeiro, della federazione di Oporto, che si complimenta per l’operazione: “Tutto bene: per la prima volta si è recuperato dell’armamento sottratto. Io lo sapevo, ma sono ho dovuto resistere zitto al colpo che ho ricevuto. Ma com’è ovvio non sapevo che sarebbe stato oggi”. Alla domanda del deputato se avesse avuto l’intenzione di recarsi in Parlamento a spiegare l’accaduto, Azeredo Lopes risponde: “Vengo ma non potrò dirti quello che ti sto raccontando. Anche così, è stata una bomba.” È sulla base di queste dichiarazioni, intercettate, che la Procura decide di indagarlo nell’ambito del procedimento che nel frattempo scatta sul caso del “ritrovamento”. Solo il 28 novembre Azeredo ha una riunione con la Commissione Nazionale per la Difesa, in cui dà la sua versione dell’accaduto e l’8 gennaio va in Parlamento. La linea rimane la stessa: nulla sapeva dei negoziati che per tutti quei mesi la Polizia Giudiziaria Militare stava facendo con gli assaltanti per recuperare il materiale[2].
La magistratura vuole in realtà vederci chiaro anche sul “ritrovamento”: troppo ovvio, e troppo banale. Banale, anche la comunicazione anonima della PJM. Passano i mesi e il Pubblico Ministero e la Polizia Giudiziaria aprono una inchiesta arrestando per connivenza con gli assalitori uomini della Polizia Giudiziaria Militare e della GNR. Finiscono sotto accusa, e costretti quindi a dimettersi anche Azeredo Lopes, e il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Rovisco Duarte.
[Fine prima parte]
[1] https://www.elespanol.com/espana/20170701/227977692_0.html
[2] https://theworldnews.net/pt-news/eu-sabia-azeredo-lopes-admitiu-a-deputado-do-ps-que-sabia-do-achamento