[La redazione di Thomas Project pubblica in forma estesa l’intervento orale di Francesco Biagi intervenuto nel convegno online “La Comune di Parigi 150 anni dopo” (qui il video completo del convegno organizzato dal Partito della Rifondazione Comunista). Una versione più breve di questo testo sarà pubblicata la prossima settimana, in un volume che raccoglie gli atti per le edizioni della rivista settimanale “Left”]
di Francesco Biagi (ITA_19/03/2021)
Ogni politica di emancipazione deve puntare a distruggere l’apparenza “dell’ordine naturale”, deve rivelare che quello che ci viene presentato come necessario e inevitabile altro non è che una contingenza, deve insomma dimostrare che quanto abbiamo finora reputato impossibile è, al contrario, a portata di mano. (Mark Fisher, Realismo Capitalista, p. 53)
In questo intervento cercherò di esporre brevemente l’innovativa interpretazione che Henri Lefebvre ha dato della Comune di Parigi. Non c’è qui lo spazio per raccontare l’importanza dell’autore ancora troppo ignorato nel dibattito marxista italiano, ma ci basti pensare che nella sua vita si occupò di riattualizzare il contributo di Marx ed Engels alla luce dei problemi posti dalla modernità capitalistica lungo il XX secolo. Mi concentrerò in modo particolare sull’evento della Comune in quanto (1) “rivoluzione urbana” capace di sovvertire l’oppressione di classe imposta a livello spaziale e urbanistico e in quanto (2) possibilità realizzata di trasformazione concreta della vita quotidiana grazie all’agire politico del movimento operaio. È necessaria tuttavia un’altra piccola postilla: le riflessioni di Lefebvre che qui espongo, come vedremo, sono fortemente debitrici delle discussioni che l’autore ha intrattenuto con Guy Debord e l’Internazionale Situazionista.
1. Nel 1965, tre anni prima dei tumulti del Sessantotto, così scrive Lefebvre: «La Comune rappresenta fino ai giorni nostri l’unico tentativo di urbanesimo rivoluzionario, […] rilevando le fonti originarie della socialità (nel momento del quartiere), riconoscendo lo spazio sociale in termini politici e senza credere che un monumento possa essere innocente (la demolizione della colonna di Vendôme, l’occupazione delle chiese da parte dei clubs ecc)».[1] Il volume La proclamation de la Commune diventa un vero e proprio “vangelo” su cui si formano gli studenti francesi del maggio. Lefebvre non solo diventa uno dei punti di riferimento intellettuali per i movimenti sociali degli anni Sessanta e Settanta, ma anche un acuto interprete dell’eredità marxiana, ravvivandone le radici di fondo. Gli studi lefebvriani sulla Comune parigina del 1871 sono un chiaro esempio di come l’autore sviluppi le direttrici storico-politiche della sua teoria generale dello spazio: non è possibile comprendere la riflessione sulla città e sull’urbano senza il voluminoso studio sulla Comune, condotto in gran parte presso l’archivio della Feltrinelli a Milano, negli anni Cinquanta e Sessanta.
La Comune è analizzata dall’autore come il prototipo – concreto e vivo nella prassi – di un urbanesimo radicalmente antitetico al funzionalismo urbanistico, che nell’Ottocento iniziava a prendere piede con l’intervento di Haussmann nella città di Parigi. Nonostante la brevità temporale della Comune, Lefebvre – sulla scia di Marx ed Engels – vede in essa la pars costruens in atto di una forma politica che le masse sfruttate costruiscono contro il modello di sovranità moderno. La Comune, quindi, è l’alternativa socio-politica radicata nella vita quotidiana che Lefebvre oppone all’organizzazione sociale e al modo di vita promosso dalla matrice capitalista.
2. Il “caso-studio” della Comune permette all’autore di evidenziare come tale evento dispieghi un’inedita relazione con lo spazio urbano e, contemporaneamente, schiuda anche dei nuovi rapporti con il modo di intendere la temporalità storica. La Comune infatti è interpretata da Lefebvre come una “festa” che irrompe nel tempo storico lineare del Capitale, per dare inizio a un atto che spezza la sequenza monotona degli eventi umani: «[La Comune] fu una festa, la più grande del secolo e dei tempi moderni. Persino l’analisi più fredda vi trova l’impressione e la volontà degli insorti di divenire padroni della propria vita e della propria storia, non solo in quel che riguarda le decisioni politiche, ma a livello della quotidianità».[2] La categoria di “festa” quindi è da interpretarsi come “epifania”, ovvero come una manifestazione concreta delle possibilità di instaurare un altro ordine politico, sociale, temporale e spaziale. Lefebvre infatti riprende la metafora di un fiume in piena che straripa nella spazialità urbana di Parigi.[3]
3. Com’è noto, sia le correnti anarchiche e libertarie, sia la tradizione marxiana-engelsiana hanno ritrovato nell’esperienza politica della Comune l’archetipo politico e sociale a cui ispirare la propria prassi verso un nuovo modello di governo alternativo alla società capitalista. Nonostante i dissidi politici e personali, sia Bakunin, che Marx ed Engels leggono nella Comune il tentativo di instaurare – per tutte le donne e tutti gli uomini – un nuovo regime democratico, federale e autorganizzato.[4] Dunque, è all’interno di tale dibattito che prende le mosse la prospettiva di Lefebvre, ma essa eccede i confini risaputi, ragionando sull’insurrezione comunarda come un’insorgenza spaziale, ovvero un conflitto per lo spazio (tra i contributi attuali più fecondi e di ispirazione lefebvriana ricordo quella di David Harvey). L’originalità dell’autore, quindi, offre un contributo innovativo per l’interpretazione “a contrappelo” della storia e dimostra come il punto di vista spaziale sia più che mai attuale. A tale proposito, vorrei mettere in luce lo scarto dell’innovazione lefebvriana che guarda all’insorgenza per lo spazio come categoria interpretativa di un agire politico da parte delle masse oppresse, inteso come un momento di creazione condivisa del processo di produzione di una spazialità alternativa e simultaneamente negatrice di quella dominante. Nella Comune di Parigi, lo spazio diventa la posta in gioco per eccellenza, scrive Lefebvre: «La Comune di Parigi può essere interpretata alla luce delle contraddizioni dello spazio e non soltanto a partire dalle contraddizioni del tempo storico […] Fu una risposta popolare alla strategia di Haussmann. Gli operai cacciati verso i quartieri e i comuni periferici, si riappropriarono dello spazio da cui il bonapartismo e la strategia del potere politico li aveva esclusi. Tentarono di riprenderne possesso in una atmosfera di festa (guerriera ma radiosa)».[5]
4. Attraverso il sentiero battuto da Lefebvre, la celebre immagine marxista del “governo della classe lavoratrice” eccede la retorica più diffusa, al fine di prendere corpo nella prassi della gestione della città e dello spazio urbano. Si legga con attenzione questo lungo passo: «La spontaneità vi giocò infatti un ruolo di prim’ordine, quello di una spontaneità gioiosa. Guerra civile, lotta per la vita o la morte, festa che non si separarono che nel corso degli avvenimenti. Inoltre e soprattutto si trattò della prima rivoluzione urbana. Gli operai e il popolo parigino non si batterono soltanto nella città, ma per la città. Parigi non era soltanto teatro di storia, luogo passivo dell’azione. La lotta aveva per posta la Città e il suo centro, l’Hôtel-de-Ville. La Comune di Parigi non era soltanto un mezzo politico, uno strumento, ma più e meglio: il senso della lotta. Espropriati della loro città, cacciati dal centro da Haussmann, gli operai e il popolo ritornarono in forze, il 18 marzo 1871, e riconquistarono ciò che loro apparteneva. […] Giunsero con coraggio a porre, a partire dal centro della città riconquistato, i problemi del decentramento e della decentralizzazione. Questo tempo […] andava al di là del momento storico, verso il possibile attraverso l’impossibile. La Comune propose le prime forme di autogestione, forme che erano ad un tempo unità di produzione e unità territoriali (comuni urbane)».[6] L’inedita interpretazione avanzata da Lefebvre indica chiaramente come la Comune sia un’insorgenza agita in nome della ripresa dello spazio sociale sottratto alla progettazione urbanistica autoritaria di Haussmann, il quale aveva sventrato Parigi con i grandi boulevard pensando che gli stretti e piccoli vicoli favorissero militarmente le insurrezioni delle masse. Inoltre, il cieco dominio di Napoleone III aveva eretto a suo simbolo la colonna di Vendôme, uno sfarzo in nome del Secondo Impero mal sopportato dal proletariato parigino, il quale sceglie di abbatterlo per indicare la fine di un determinato regime spaziale e l’inizio di una nuova dimensione spaziale concordata collegialmente dalla forma politica comunarda. Chiaramente i tre mesi della Comune non sono riusciti a modificare l’urbanistica haussmaniana, tuttavia vi è già fin dal primo giorno di insubordinazione un’organizzazione della città radicalmente in contrasto con le scelte operate dall’Impero. Lefebvre mette a fuoco come l’insurrezione comunarda si ponga come obiettivo la riappropriazione materiale dello spazio urbano, reso estraneo agli strati più bassi della popolazione per mano dell’intervento haussmanniano. Va precisato che simile estraniazione spaziale contro la popolazione non sia veramente compiuta: «La Parigi militare e la Parigi ufficiale (statuale e governamentale) con i loro palazzi, i loro monumenti e le loro strade, proiezione sul terreno della struttura sociale e politica, si sovrappongono senza soffocarla alla Parigi popolare»[7]. La presa di Parigi da parte dell’insorgenza comunarda assume tratti mitici rispetto alla messa in crisi dell’equilibrio geopolitico francese ed europeo. Per riprendere un concetto proprio della tradizione politica situazionista, potremmo dire che la Comune opera un contro-movimento di critica della separazione dei luoghi imposta dal Capitale, tentando una riproposizione unitaria della vita e delle pratiche urbane, contrastando, pertanto, la sovrapposizione del potere centrale statuale con la dimensione federale e autogestita della Parigi popolare. Alla mercificazione degli spazi, la Comune contrappone il libero e reciproco riconoscimento nello spazio sociale fra eguali; su questo punto Lefebvre concorda con i situazionisti ideando l’abbozzo di un “urbanesimo rivoluzionario”. A tale scopo, i monumenti del potere «fallico-video-geometrico»[8] non sono neutri e vengono abbattuti non nel nome di aspirazioni nichiliste, ma, al contrario, per affermare un nuovo corso della storia spazio-temporale di Parigi: «Coloro che riconducono questi atti al nichilismo e alla barbarie dovranno confessare che invece essi sono disposti a conservare tutto ciò che considerano “positivo”, vale a dire tutti i risultati della storia, tutte le opere della società dominante, tutte le tradizioni; tutto il già dato, compreso ciò che è morto e irrigidito».[9] È evidente come le medesime accuse siano rivolte oggi ai movimenti postcoloniali come Black Lives Matter che, come forma di protesta e di risignificazione dello spazio sociale, hanno scelto di abbattere le statue degli “eroi” del colonialismo.
L’urbanesimo unitario rivoluzionario, fu – secondo Debord – il tentativo più ardito della Comune, che egli stesso cercò di articolare e sviluppare nelle pratiche politiche dei movimenti sociali sviluppatisi nel Maggio francese del Sessantotto. Ora, leggiamo il passo situazionista da cui proviene quello sopra citato di Lefebvre: «La Comune rappresenta fino ai nostri giorni l’unica realizzazione di un’urbanistica rivoluzionaria, che attacca sul campo i segni pietrificati dell’organizzazione dominante della vita, riconosce lo spazio sociale in termini politici, e non crede che un monumento possa essere innocente. Chi riconduce tutto ciò ad un nichilismo da sottoproletariato, all’irresponsabilità delle incendiarie, deve ammettere in contropartita tutto ciò che ritiene positivo, da salvare, nella società dominante».[10]
5. Kristin Ross evidenzia l’articolazione dello spazio e del tempo durante la Comune di Parigi, e, a tale proposito, mette a fuoco l’intuizione lefebvriana che traccia un nesso fra la vita quotidiana della Comune e l’accezione di “prima rivoluzione urbana”.[11] La Comune infatti è una rivolta contro la matrice spaziale di classe imposta dall’Impero e inaugura il tentativo di riscrivere l’insorgenza nella dimensione sociale urbana: è interpretata da Ross nel felice connubio del file rouge che intercorre fra lo spazio (della Comune) e la poesia (di Rimbaud). Il nesso tra “spazio e poesia” è un’intuizione surrealista ripresa da Lefebvre e da Debord per riscrivere i connotati di una vita quotidiana liberata dalla gabbia d’acciaio del capitalismo: il vivere e l’abitare poeticamente è un’idea che vede nell’espressione artistica uno spazio non ancora occupato dalla mediazione del valore di scambio. Entrambi gli autori riflettono sulla vita quotidiana prodotta dal capitalismo, utilizzando un’altra metafora, quella dell’oppressione coloniale: il modo di produzione capitalista incatena la vita umana al pari della sopraffazione subita da un Paese colonizzato.[12] Il circolo vizioso tra tempo di lavoro e tempo “libero” per dare spazio agli impulsi consumistici soffoca e inibisce la vita quotidiana come la volontà di potenza del colono sul colonizzato.
6. Al contrario, la popolazione parigina, rioccupando le strade e le piazze, rompe la precedente gerarchia spaziale, giunge fino al centro-città e conquista l’Hôtel de Ville, ribaltando il luogo decisionale-oppressivo in spazio sociale comune a tutti e tutte. Lo spazio dell’Hôtel de Ville – che incarna per eccellenza il potere costituito – diventa, al contrario, il luogo dove si realizza una nuova spazialità orizzontale e democratica quale terreno adatto a favorire un nuovo corso per il «diritto alla città» di tutti gli oppressi: «I lavoratori che occupano L’Hôtel de Ville quando abbattono la Colonna di Vendôme non si sentono “a casa” nel centro di Parigi; stanno occupando il territorio nemico, circoscrivono il proprio luogo dall’ordine sociale dominante. Così con l’occupazione, seppure breve, realizzano l’esempio di ciò che i Situazionisti hanno chiamato détournement».[13] La pratica del détournement riguarda una relazione dialettica: l’Hôtel de Ville diventa il luogo dove si sviluppa la democrazia radicale del consiglio della Comune; un consiglio che adotta, tra le misure più celebri, il “mandato imperativo” per evitare il riprodursi della dissociazione tra il rappresentante eletto e i suoi elettori. Non più e non solo una democrazia rappresentativa, ma una democrazia che pratica autenticamente quelle decisioni politiche che emergono dai quartieri e dai clubs della Parigi insorta. E, ancora, una cittadinanza che valorizza la partecipazione alla rivoluzione, non l’origine espressa dal passaporto o dal colore della pelle. La Comune è uno dei primi movimenti operai internazionalisti, antirazzisti e di critica concreta al modello liberale ottocentesco: la sua attualità è visibile oggi nel Confederalismo Democratico Kurdo o, ad esempio, nel “comandare obbedendo” del movimento zapatista che è d’ispirazione per tutti i movimenti indigeni latinoamericani. La Comune è una delle prime forme di critica in atto alla sovranità liberale: pensare l’alternativa al capitalismo significa pensare anche un’altra società politica.
7. L’idea lefebvriana di “utopia” è profondamente incarnata in questa possibilità realizzata di conseguire gli ideali per cui le masse lottano. L’autore infatti parla sempre di un’utopia concreta e sostiene che «tutte le rivoluzioni hanno qualcosa di profetico»,[14] ovvero innescano una inedita dimensione utopica spazio-temporale. Lefebvre assume il concetto di “utopia” per indicare la sospensione dello spazio-tempo del Capitale e il cominciamento di un nuovo corso per l’essere-in-comune fra pari. L’elemento profetico anticipa e tenta di realizzare un regime politico autenticamente democratico, nonostante le tragiche sorti che consacreranno la fine della Comune e lo sterminio o l’esilio di tutti i suoi partecipanti più attivi: «Questa utopia, questo preteso mito, per qualche giorno entrò nei fatti e nella vita. In questo senso, la Comune si confonde con l’idea stessa della rivoluzione, intesa non come idealità astratta ma come l’idea concreta della libertà».[15] La «festa» della Comune scolpisce nella memoria storica degli oppressi l’opzione di una vita quotidiana differente da quella imposta dalla logica del Capitale. Il popolo parigino, quando intravede la fine di Parigi di fronte alla controffensiva di Thiers, decide di «morire con ciò che significa per lui molto di più che un decoro e una cornice: la sua città».[16] Come l’artista intrattiene uno stretto legame con la sua opera, così il proletariato urbano si sente legato alla polis: è il suo prodotto per eccellenza, sia da un punto di vista materiale che simbolico. Simile paragone della città con l’opera d’arte, non solo è avvalorato dalle riflessioni sul significato di «città come opera» (altro punto di incontro fra gli autori situazionisti e Lefebvre), ma è coerente con l’analisi che Ross propone in Lusso Comune: L’immaginario politico della Comune di Parigi. Infatti, l’autrice, riprendendo il Manifesto degli Artisti Federati, interpreta l’evento comunardo nella dimensione della natalità di una politica comune “magnifica/splendida/lussuosa”. L’immaginario politico della Comune è fortemente influenzato dal movimento degli artisti che trovano in Gustave Courbet il delegato che li rappresenta nel Consiglio Comunale rivoluzionario. Courbet, inoltre, è uno di coloro che è accusato dalle forze repressive di aver concretamente abbattuto la Colonna di Vendôme, per questo in seguito si rifugerà in Svizzera. Dunque, nella comunione politica dell’insurrezione, uno degli atti più profondamente artistici e creativi è la presa dello «spazio sociale» di Parigi e la sua radicale riorganizzazione su basi orizzontali e federate. Con il termine di “magnificenza/splendore artistico” della Comune dobbiamo intendere l’elemento creativo che si rivela per mezzo della “poiesis lussuosa” praticata dai Comunardi nella nuova dimensione spaziale da instaurare. La città diventa centro e simbolo di resistenza contro la formazione progressiva di un sistema capitalistico-statale che fino ad allora aveva reso lo spazio nemico dell’umano. È a tale proposito che Lefebvre scrive: «l’insurrezione parigina del 1871 fu un grande e supremo tentativo della città di erigersi secondo la misura e la regola della realtà umana».[17]
Nell’esperienza politica della Comune vi è una riunificazione fra il politico e le altre sfere del vivente. La città è quindi assunta a modello spaziale ideale per la realizzazione dell’esercizio democratico, contro la forma statuale e imperiale; in particolar modo Lefebvre, seguendo il sentiero di Marx, rintraccia i germi di una critica radicale della forma statuale e della politica stessa.[18] La violenza della repressione ha sterminato tale progetto politico-spaziale, ma non la prassi della vita quotidiana in cui le forze popolari si riconoscevano.
8. Giunti quasi alla conclusione di questa relazione è necessario riflettere se vi può essere un’attualità dell’esperienza comunarda, in modo particolare alla luce delle riflessioni di Lefebvre e di Debord che ho ricordato. Cosa può continuare a dirci la Comune oggi?
Innanzitutto, la Comune – alla luce del XXI secolo – ci permette di riformulare le direttrici dell’emancipazione: la rivoluzione o qualsiasi tentativo di cambiamento sociale e politico vanno ripensati a partire dalla vita quotidiana. La politica deve poter cambiare l’esistente, altrimenti non ha alcun senso (oggi lo vediamo in Italia con il trasformismo degli ultimi governi dal 2018 ad oggi: prima il governo Conte 1, poi il Conte 2 fino al governo dell’ex direttore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi).
In secondo luogo, nella presentificazione del capitalismo neoliberista, nell’agghiacciante impostura del post-moderno che avrebbe messo fine alla storia umana e contro il dispotismo autoritario del “realismo capitalista” (Mark Fisher) come unico modello di società dato e immutabile, l’insegnamento della Comune è più che mai attuale per quei militanti politici interessati a riformulare le direttrici dell’emancipazione. Com’è noto, in Italia, soprattutto a sinistra, ci si interroga su come mai la politica non sia più di aiuto per trasformare concretamente la vita delle persone: un’immersione nell’eredità politica lasciataci dalla Comune (e di conseguenza anche da Lefebvre e Debord), credo sia una delle constatazioni più urgenti, al fine di ripensare completamente l’azione politica. In altre parole, la Comune di Parigi è un esempio di azione politica che emancipa e che si incarna nel quotidiano. Mark Fisher ha scritto che “la sensazione diffusa [è quella] che non solo il capitalismo sia l’unico sistema politico ed economico oggi percorribile, ma che sia impossibile anche solo immaginarne un’alternativa coerente”,[19] tuttavia l’esistenza in atto della Comune ha dimostrato che il movimento operaio parigino poteva battere il Secondo Impero di Napoleone III, quindi niente preclude che siano possibili nuove forme post-capitaliste o direttamente anti-capitaliste di emancipazione e rivoluzione per gli oppressi del XXI secolo, infatti – scrive sempre Fisher – «La lunga e tenebrosa notte della fine della storia va presa come un’opportunità enorme. La stessa opprimente pervasività del realismo capitalista significa che persino il più piccolo barlume di una possibile alternativa politica ed economica può produrre effetti sproporzionatamente grandi. L’evento più minuscolo può ritagliare un buco nella grigia cortina della reazione che ha segnato l’orizzonte delle possibilità sotto il realismo capitalista. Da una situazione in cui nulla può accadere, tutto di colpo torna possibile».[20] La Comune è stata sconfitta militarmente, non nella prassi politica e non nell’utopia concreta che ha realizzato finché ha potuto resistere.
Note:
[1] H. Lefebvre, La proclamation de la Commune, Gallimard, Paris, p. 394.
[2] Ivi, pp. 389-390.
[3] Ivi, p. 21.
[4] A tale proposito rimando allo studio di Léonard, il quale ricostruisce con minuzia storica il dibattito intorno la Comune in seno alla Prima Internazionale e ai suoi intellettuali militanti più conosciuti: M. Léonard, La Prima Internazionale. L’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi, Edizioni Alegre, Roma, 2013, pp. 211-251.
[5] H. Lefebvre, Spazio e politica. Diritto alla città II, ombre corte, Verona, 2018, p. 137.
[6] H. Lefebvre, La fine della storia, Sugarco, Milano, 1970, pp. 236-237.
[7] H. Lefebvre, La proclamation de la Commune, cit., p. 134.
[8] H. Lefebvre, La produzione dello spazio, Moizzi, Milano, 1978, p. 281.
[9] Ivi, p. 394.
[10] G. Debord, A. Kotanyi, R. Vaneigem, Sulla Comune, «Internazionale Situazionista», n. 12, 1969.
[11] K. Ross, The emergence of social space. Rimbaud and the Paris Commune, Verso, London, pp. 8-9.
[12] H. Lefebvre, Critica della vita quotidiana, vol. II, Dedalo, Bari, 1977, p. 16. G. Debord, Prospettive di modificazioni coscienti nella vita quotidiana, «Internazionale Situazionista», n. 6, 1961.
[13] K. Ross, The emergence of social space. Rimbaud and the Paris Commune, cit., p. 42.
[14] H. Lefebvre, La proclamation de la Commune, cit., p. 38.
[15] Ivi, p. 390.
[16] Ivi, p. 22.
[17] Ivi, p. 32.
[18] Com’è noto, Lefebvre segue l’analisi di Marx, il quale intravvede nella Comune l’esempio più riuscito del superamento e dell’abolizione della forma statuale (si veda in particolar modo: Ivi, pp. 390-391). Tali concetti tuttavia meritano di essere chiariti. Il potere dello Stato è «ormai soppiantato», scrive Marx dopo aver definito la Comune come «libertà municipale locale» (K. Marx, Resoconto dell’intervento del cittadino Marx sulla Comune dai verbali della riunione del Consiglio generale del 25 aprile 1871, in K. Marx, F. Engels, Inventare l’ignoto. Testi e corrispondenze sulla Comune di Parigi, Edizioni Alegre, Roma, 2011, p. 138). La lingua italiana in questo caso non ci aiuta a capire con chiarezza il testo marxiano e la scelta del termine dipende molto dal traduttore, indeciso fra “abolito/deperito/superato/estinto”. Marx in tedesco utilizza il verbo absschaffen (abolire) – usato per esprimere ad esempio l’abolizione della pena di morte o della tortura per decreto – per definire il punto di vista anarchico sul problema dell’autorità (rappresentato in quegli anni principalmente da Proudhon e Bakunin). Gli altri termini invece che adopera nei suoi scritti sottolineano maggiormente un movimento processuale rispetto ad una decisione posta per legge, e si tratta dei verbi absterben (deperire), auflösen e verschwinden (dissolversi o sparire), fallen (cadere da solo) o einschlafen (addormentarsi da se stessi, cioè intiepidirsi spegnersi in senso figurato) molto usato nei documenti ufficiali come sinonimo di “morire”. Altre formule sono “rendersi superfluo, inutile, privarsi della propria funzione”. Marx quindi intende mettere in luce il processo di deperimento e estinzione della forma politica statuale attraverso gli atti pratici e le decisioni concrete adottate dalla Comune di Parigi come: il blocco degli affitti, la drastica riduzione della giornata lavorativa, l’abolizione del lavoro notturno e della prostituzione, l’estensione totale della cittadinanza a tutti gli abitanti, la trasformazione che avviene nei rapporti di proprietà e la radicale modifica socio-politica del lavoro e delle attività umane (compresa la questione delle istituzioni politiche). A tale proposito si veda la precisa argomentazione di Daniel Bensaïd: Id., “Politiche di Marx”, in K. Marx, F. Engels, Inventare l’ignoto. Testi e corrispondenze sulla Comune di Parigi, cit., pp. 15-92.
[19] M. Fisher, Realismo capitalista, Nero, Roma, 2018, p. 26.
[20] Ivi, p. 152.