Gianfranco Ferraro (ITA 09.02.2021)
Poche domande dovrebbero stare alla base di qualunque analisi politica. Quale visione di società sta alla base delle scelte, nostre e altrui? Quali interessi muovono queste scelte? Tutto qui, non è difficile.
Eppure, l’incapacità di porsele rende chiaro, se mai ce ne fosse bisogno, due cose: da un lato l’imponenza dell’ordine del discorso che si è instaurato, legittimato, come l’unico possibile, per lo meno da trent’anni in tutte le società occidentali e poi progressivamente a livello globale. Un ordine del discorso che ha significato la creazione di un rapporto chiuso, individualizzato, di ciascuno con la propria esistenza, e quindi con il proprio lavoro e la propria professione, e la distruzione di ogni capacità di leggere in modo complesso una società, di leggere cioè i legami, le relazioni di causa-effetto che motivano certe scelte economiche e non altre. L’unico orizzonte in cui ci troviamo a vivere è quello di monadi separate e irrelate, di moscerini che si muovono sul pelo dell’acqua cercando di sopravvivere. Una intera generazione è cresciuta in questo orizzonte, e anche avendo sentore – semplicemente perché nata nel ‘900 – della fragilità e storicità di questo orizzonte, ha interiorizzato la propria debolezza e l’incapacità di poterlo anche solo scalfire, finendo col confermarlo, nelle pratiche se non nelle convinzioni. La generazione dei Millennials vive oggi una sofferenza, ma la declina anch’essa al singolare.
Poi c’è un’altra cosa che l’incapacità di porsi quelle domande manifesta: ed è la distruzione di qualunque tentativo di vedere la società come qualcosa di diverso da un semplice aggregato di individui. La distruzione, cioè, di qualunque possibilità di capire come la felicità – anche individuale – sia legata alla felicità della società, alle relazioni, e non solo alla possibilità che ciascuno sia individualmente felice, che a ciascuno vengano cioè date le possibilità, ancorché ipoteticamente, di essere felice. Si è distrutta l’idea di felicità come punto di arrivo, come aspirazione alla forma complessiva del mondo, identificandola con valori del tutto centrati sull’individuo: il successo, il riconoscimento, come molliche per il moscerino che più riesce a battere le ali sul pelo dell’acqua. Si è distrutta cioè l’immagine stessa della società, come base per leggere la felicità o l’infelicità degli individui, e anche la loro libertà. Ciò che è avvenuto è la sostituzione di una lettura realistica e non astratta dell’individuo, con una pretesa ingiustificata, se non falsa: la pretesa che l’individuo basti a se stesso e che possa vivere bene in una società che invece bene non vive.
Ma questa, e non altra, è in fondo la realizzazione della grande utopia liberale: dove per “liberale”, occorre vedere il profondo legame che Foucault, come Marx, individuava nel rapporto tra forme della politica e concreti modi di esistenza. Si è realizzata, cioè, e sempre più si realizzerà nei prossimi anni, una società di individui separati, divisi, incapaci di leggere il proprio contesto se non nella forma di una guerra di tutti contro tutti che solo può essere evitata a forza, ovvero sostenendo gli individui capaci di adattarsi ed escludendo coloro che non hanno chance di farcela con le regole che il mercato pretenderà di imporre.
L’immunità economica che si viene presentata è una forma di “liberismo compassionevole”, per i cui disastri si potrà incolpare, ancora una volta, il destino malevolo e baro.
Inutile aggiungere che saranno proprio gli “individui” o le “imprese” o gli “Stati” capaci di adattarsi alle regole, vecchie e nuove, imposte del mercato, i primi ad adottare – magari battendosi il petto e confidando nella Provvidenza – il nuovo ordine del discorso, facendosene alfieri. Dichiarando cioè la loro visione di società: una società “meritocratica”, “inclusiva” e “sostenibile”. Ovvero, una società in cui sia premiato il loro merito, e che sia inclusiva e sostenibile per loro.
È una visione, insomma, ancora una volta darwinista e malthusiana della società: una visione che non nasce ora, ma che si è legittimata e strutturata negli ultimi decenni come l’unica possibilità di essere uomini e donne. Non c’è motivo perché le scelte politiche ed economiche dei prossimi anni siano diverse da questa tendenza di lungo periodo: una società spezzattata, uniformata, omogenea nelle sue divisioni sarà ben lieta di accogliere a braccia aperte chi le garantirà una piena immunità contro i molti modi di essere uomini e i molti modi di essere società.