di Luciano Marabello (ITA_17.04.2020) qui la prima parte
La città tra le tante cose, oltre ad essere la più originale e sorprendente invenzione dell’uomo, è il luogo che per struttura formale, storia, economia e forse desiderio programmatico, spinge alle relazioni o meglio ai contatti tra le persone. La città con le sue occasioni e attraverso la mobilità aumenta le possibilità di contatto. Adesso il contatto è vietato per paura del contagio, eppure con-tatto e con-tagio hanno la stessa radice etimologica come composto di cum–tangĕre, che rimanda al significato di toccare insieme vicendevolmente, quindi al senso del tatto.
Se in una città non ci tocchiamo, stiamo distanti, abitiamo senza toccarci, non solo potremmo diventare rigidi e frigidi, ma potremmo perdere quella parte di sensibilità del tatto, che avvia e apre la relazione tra i corpi nello spazio, che costrusice la nostra primaria conoscenza tattile dei materiali da costruzione, mediata forse dai profilattici guanti in lattice.
Gli abbracci, le strette di mano e le pacche, adesso sono sospese e rimandate a data da destinarsi, ma come ogni somministrazione lenta, anche questa agisce e modifica le nostre pratiche contingenti diventando pian piano conformazione culturale. Il contatto è la parte sensibile dell’esperienza, ma, allontanato dalla distanza di sicurezza di oggi o di domani, potrà diventare possibile solo attraverso altre modalità e trasferendo il tatto nella rappresentazione o sublimazione del tatto; per paradosso il tocco è al momento per motivi igienici spostato e sterilizzato persino dal touch capacitativo degli schermi a cristalli liquidi.
Ridurre il contatto e ristrutturare la distanza significa riposizionarsi nello spazio, costruire una forma di nuova disciplina del corpo per ridare agio e conforto nelle relazioni sociali: questo a breve significa, per cause sanitarie, abitare spazi vecchi con nuove distanze; nei fatti però sono i provvedimenti immunitari/sanitari che influenzano la distanza prossemica.
La città in tante delle sue esperienze immersive vissute da abitanti, users, cittadini, visitatori, è spesso un susseguirsi di barriere, soglie, recinti; ma la città per la sua capacità di produrre anche vari miracoli è piena di porte, varchi, affacci, aperture.
Il Contagio esclude persino il Contatto tra le mani e le porte, persino la mano che spinge i portoni, persino l’impugnatura per l’apertura delle maniglie, persino la postura delle mani sullo schiudersi delle imposte. Una sequenza di atti di apertura, ingresso, attraversamento delle soglie potrebbe avvenire profilatticamente per contact-less, voice over, sensori.
Il virus, o meglio la risposta al virus, ha messo in crisi il modello spaziale sul quale abbiamo costruito la nostra idea generalizzata di esperienza urbana e sociale. La riduzione dei con-tatti instaura una nuova mappa delle sensibilità tutta da scrivere ma anche tutta da leggere.
(continua)
In coopertina: Tano Festa “La creazione dell’uomo” (1964) (part.)