Milano, Rebibbia, non sempre una casa: dei virus corona e dei virus rivolta

di Arianna Lodeserto (ITA_09.03.2020)

A quanto pare da qualche giorno a questa parte senza nemmeno accorgercene siamo all’improvviso diventati una comunità, un’entità collettiva, un paese civile, una società sociale da tutelare, persino un bene comune. Se fino a qualche settimana fa il nuovo inno nazionale era la nota canzone Me ne frego, oggi si fa distinzione e differenza tra chi straeticamente “pensa a tutti” e chi pezzodimmerda se ne frega, non avendo purtroppo il senso civico-salutista che appartiene ai savi.

La cura per la salvezza individuale e propria, individuale e propria e individualissima e per la prima volta a rischio, viene spacciata per un passionario comitato di salute pubblica che pensa al bene del prossimo. “Stattene a casa stattene a casa statt’ a’ casa!” Traditore della patria è colui che suo malgrado starnutisce, o chi osa criticare misure e decreti disperati anche solo di un centesimo di virgola: peccato ci siano questi personaggi in un paese altrimenti tanto buono e salutare, fatto non soltanto di infaticabili sciatori ma, sua principale caratteristica, di straproprietari terrieri.

“Statt’a casa, devi stare in casa non capisci che devi stare in casa, è per il bene di tutti!” Certo se la casa non ce l’hai chi se ne importa, allora sarà una società civile civilissima e collettivista with paradossi ma che ce cambia, non ce l’hai il lavandino carino il lettone il comodino e la scorta di amuchina nella tenda? Se ti lavi al bagno di un bar mica penserai che ti fanno storie?

Si arriva ad additare persino chi “ancora si sposta per lavorare”, chi “non sa smettere di produrre”, chi non comprende il “sacrificio collettivo”. La biopolitica ormai ci spiccia casa (se non avesse paura di sporcarsi le mani). Ci svegliamo oggi nel capitalismo di ieri, stupiti e scandalizzati da una società fatta ad immagine e somiglianza di bar e aperitivi lo era già da tempo, ma finché non era a rischio il corpo mio, ci pareva un bel divertimento, una “rigenerazione dei quartieri”.

Vogliamo la spesa pronta, portata dagli schiavi della logistica, vogliamo i supermercati aperti ma si addita chi deve continuare a lavorare, non chi non smette mai di riscuotere,
e chissà se anche un solo affittacamere sta pensando di non estorcere l’affitto a chi questo mese non ha potuto guadagnare per difetto di precarietà, e chissà se i multiproprietari biproprietari trisproprietari ed ultraproprietari metteranno a disposizione seconda casa terza casa e i 7 milioni di appartamenti vuoti presenti in Italia al servizio dell’inedita comunità che intima una lunga quarantena a tutti senza mai calcolare che i senzatetto e i sottosfratto sono qui incalcolabili, decine e decine di migliaia le famiglie in lista d’attesa, e proprio in Lombardia nel 2018 gli sfratti sono saliti a 9.872, mentre a Milano sono aumentati del +594 per cento. Un’altra succosa statistica terroristica che spacca, con una bella curva ascendente che spacca!

Ma chissenefrega, “tu pensa alla salute”! Pensa alla salute tua!” ‘Ché lo sfratto mica è un virus, mica toccherà a me, mica si eredita con la saliva dei vagabondi nelle stazioni centrali:
la casa di mamma si eredita, il mutuo con anticipo anticipato si eredita, e pure i debiti dei genitori sbagliati si ereditano. Poi se devo affittar una stanza a 5-600 euro o un monolocale a 1000 e passa euro facendo così aumentare il costo della vita in ogni quartiere (peggiorando la salute di chi lavora come un pazzo per pagarsi questa vita e che si, sempre dovrà muoversi e viaggiare per pagare un tetto) e facendo salire alle stelle gli sfratti del mercato privato cioè di fatto dell’unico mercato attuale:
pazienza! La collettività tornerà esigente comunista e passionaria alla prossima epidemia.

In Italia vengono sfrattate di media 150 persone al giorno. Che questa gente non “stesse a casa” e mai al calduccio ha fatto innervosire sempre in pochi, ma queste ed altre affilate e dolorose statistiche di salute in perdita non verranno condivise ogni 3 minuti e mezzo come oggi, epoca di un pathos supremo che tutela le paure individualissime, le proprietà irremovibili, e nemmeno più il lavoro necessario per finanziare le altrui rendite. L’importante è la pelle mia, la schiena mia, le gambe mie, le quattro mura mie mie mie!

Nel frattempo, sindacati ed unioni inquilini delle più sfortunate provincie del Nord chiedono da giorni la sospensione degli sfratti almeno per queste settimane critiche. Proprio oggi a Livorno “l’Unione Inquilini è costretta a promuovere un picchetto anti sfratto per l’11 marzo per evitare che una famiglia vada per strada”.

Nel frattempo, nelle sovraffollate carceri, tolti i permessi e tolta l’acqua. Ai detenuti che oggi salgono sui tetti come nel 1972, privati già prima di ogni diritto, è stato tolto tutto e tutto d’un fiato, senza scrupolo senza coscienza senza lungimiranza. Non poter vedere un famigliare per tre mesi, togliere i contatti di qualsiasi tipo e “distanza” a chi (anche nei gloriosi “tempi di pace”) deve pagare pure per mandare una mail.

Stare a casa in una cella, morire e ammalarsi come bestie. Succede oggi a Modena, a Salerno, a Napoli, a Foggia, a San Vittore, a Verona, ad Alessandria, a Pavia. A Rebibbia si caricano i famigliari e si sparano i lacrimogeni, questa sì che è una buona iniezione di salute, specialmente in tempi di malattie polmonari.

Sono quarant’anni che stiamo a casa.

Che non ci sgoliamo, che non ci stanchiamo i piedini. Speriamo solo che “stare a casa” non diventi una pubblicità progresso anche alla prossima manifestazione contro i tagli alla sanità pubblica.

Perché non basta stare a casa, non bastano 56 milioni di individui impanicati per fare una comunità che meriti un sacrificio, e che domani come ieri, passato l’accidente, passata la grande paura e il grande terrore, tornerà alle sue rendite. E agli sci, agli aperitivi, ad alzare gli affitti. Persino fiero di esser stato a casa per cotal geniale patria.

Poi vedo che c’è chi è lì a Napoli sotto le carceri a dare sostegno, eccola l’unica dignità umana che merita un sacrificio, quella che non pensa solo al corpo e all’Io proprio, alla salute trattata come il bene più individuale che esista (o al massimo riguarda “i parenti prossimi”, i nuclei famigliari sempre più piccoli, sempre più chiusi).

 

Rassegna stampa faziosa ed estendibile: