La redazione di Thomasproject pubblica la recensione di Marco Gatto all’ultimo libro di Giorgio Cesarale dal titolo “A sinistra. Il pensiero critico dopo il 1989” (Laterza, pp. 202, euro 19) uscita per “il manifesto” martedì 4 giugno 2019.
MARCO GATTO [ITA_5/06/2019]
Con il recente “A sinistra. Il pensiero critico dopo il 1989” (Laterza, pp. 202, euro 19), Giorgio Cesarale ha il merito di restituire una ricchissima mappa orientativa delle principali istanze di riflessione che, dopo la crisi del marxismo, hanno inteso elaborare possibili strategie radicali di comprensione e analisi del mondo capitalistico. Non si tratta di un’operazione semplice.
La molteplicità cui il pensiero radicale si è consegnato nell’ultimo trentennio è spesso stata un sintomo confermativo di una più generale disgregazione teorica. La sinergia tra saperi diversi, il costituirsi di ambiti disciplinari e settoriali spesso autoreferenziali e un complessivo collasso del pensiero sistematico e totalizzante hanno contribuito a costituire un vero e proprio pluriverso.
CESARALE NE RICOSTRUISCE le linee di tendenza, isolando questioni e sollevando problemi, con il compito di offrire un disegno complessivo della posta in gioco, non senza prendere una posizione netta. Emerge un quadro in cui alla estrema varietà delle proposte – alcune delle quali spesso non direttamente afferibili al prisma complesso dell’opposizione filosofica marcatamente di sinistra – soggiace tuttavia una piena e radicale insoddisfazione dell’esistente, che conduce a pensare come «necessario un profondo rimaneggiamento della nostra forma di vita».
LA MAPPA di Cesarale prende in considerazione i più recenti critici del capitalismo come sistema di dominio e di egemonia culturale – da Wallerstein ad Arrighi, da Harvey fino a Boltanski e Chiapello –, passa poi a vagliare il tema della sovranità, soffermandosi su Agamben, Negri e Brown, si attarda sui diagnosti dell’immaginario postmoderno (Zizek, Jameson) e sulle possibili teoria della soggettività (Badiou), discute del rapporto tra universalismo e antagonismo (Balibar, Rancière, Laclau) e giunge infine ad analizzare le proposte più recenti che provengono dalla critica postcoloniale (Gilroy, Mbembe) e dal femminismo (Butler, Fraser, Spivak). Che la scelta delle posizioni presentate non sia neutrale, lo chiarisce l’autore nelle pagine introduttive, esprimendo un giudizio a mio parere assai condivisibile.
IL PENSIERO CRITICO degli ultimi trent’anni si imporrebbe come una sorta di «pensiero dell’esternità», in ossequio a un principio diffuso di estroflessione del concetto e dell’oggetto di analisi che forse è un portato di una più complessiva gestione culturale delle pratiche di opposizione. Se a imporsi è stata «la domanda sul rapporto della nostra realtà con ciò che la delimita, con i suoi confini, con il suo ’esterno costitutivo’», a restare indietro è stata l’interrogazione «su come plasmare concretamente e internamente l’ordine».
Ne consegue che il pensiero radicale abbia rivolto la sua attenzione anzitutto verso il «bordo esterno dell’organizzazione sociale», verso «la separazione da quell’esteriorità che, pur non essendo direttamente implicata nella costruzione dell’ordine, ne rende possibile la stabilizzazione», specie in un contesto di pervasività simbolica e culturale della stessa forma-filosofia.
È INSOMMA questa dialettica tra inclusione ed esclusione a costituire la chiave per comprendere, e forse per correggere, le traiettorie della recente riflessione teorica a sinistra. La quale, se certifica un’indubbia vitalità, spesso si ritrova a collocare se stessa, più o meno inconsapevolmente, su un terreno che prevede logiche di estroflessione e di sprofondamento in una supposta contingenza, più rispondenti a matrici metastoriche o irrazionalistiche che a sollecitazioni reali. Fino a descrivere il rischio che le pratiche filosofiche alternative più urlate possano essere, in fondo, il frutto di un disegno retrivo che le amministra.