Il fascismo come forma di vita

Emilio Raimondi [ITA_17.02.18]

 

Il fascismo, oggi, non è una forma di governo possibile. E’ una forma di vita. Questa forma di vita è tra noi, molto più di quanto possiamo immaginare. Non voglio descriverla, la conosciamo. Le maniere in cui si presenta noi le tolleriamo perché riteniamo la democrazia una forma di governo non superabile. E’ un errore formidabile. Quello che non si è capito, di questo fascismo, è che esso non mira a sovvertire l’ordine democratico, ma ad utilizzarlo senza superarlo. Mira ad incistarsi dentro le pieghe che la democrazia offre. Punta, senza nemmeno saperlo, ad adottare, come normali, forme di comportamento che appena pochi anni fa erano insostenibili per l’opinione pubblica. Queste forme di comportamento, una precisa maniera di pensare, s’è incuneata dentro le pratiche d’esistenza di donne e uomini che, anche solo pochi anni fa, ed ancora oggi, le ritenevano e le ritengono a loro estranee. 
Perché mi rifiuto di volere indicare e descrivere queste forme di fascismo dell’esistenza? Perché le riconosco anche in chi è più vicino a me, e meno m’importa la polemica quanto l’urgenza assoluta di segnalare una profondissima mutazione antropologica. 
‘Fascista’, per decenni, è stato un insulto; lo è, in parte, anche ora. Ma la ‘forma di vita fascista’ che, oggi, s’è insinuata nei nostri comportamenti quotidiani, sfugge a quest’insulto. Perché ha il nome di ‘tolleranza’. Tolleranza rispetto ciò che accade intorno a noi.
L’errore fondamentale risiede nel vedere nel fascismo una forma di conquista del potere.
Il fascismo, oggi, è una forma d’esistere, una maniera di scegliere, di giudicare, di pensare ciò che sta intorno a noi. Il fascismo, oggi e per molto tempo, sarà la forma vincente di risoluzione dei singhiozzi della democrazia. Se, in alcune occasioni, si manifesta pubblicamente, questa maniera di risoluzione delle difficoltà della democrazia d’oggi è molto meno, inizialmente, una proposta di ‘governo’ e molto più una mentalità che s’è incardinata nel nostro sguardo. E il nostro sguardo non la lascia, perché è la più semplice delle forme di risoluzione delle convulsioni della democrazia.
Questa vera e propria tragedia della democrazia l’ha preparata, come già accaduto, il fronte debole democratico, quello che ritiene che il confronto e il riconoscimento debba implicare anche il confronto e il riconoscimento del nemico della tua stessa posizione democratica.
La democrazia non è questo: la democrazia è una scelta che, mentre include, sa chi escludere: il proprio nemico mortale.
Le forme europee della convulsione democratica di oggi faranno parte dei libri di storia del prossimo secolo. Al capitolo: suicidio.

La tollerabilità che abbiamo imparato ad avere di cose intollerabili, di violenze inaudite e ingiustizie senza fine, di cose anche solo inenarrabili, questa tollerabilità è la forma di fascismo come forma di vita dalla quale nessuno può trarsi fuori. Oggi.

Le forme di egoismo, in qualsiasi forma esse si esprimano, non sono una novità. Ciò che ritorna, in una maniera nuova, è che esse sono pubblicamente rivendicate e rincorse, giustificate, motivate, non solo da chi le ha sempre sostenute, ma da ognuno di noi, in quelle piccole forme che attengono alla nostra vita, alla nostra esistenza. Così come da quella ‘politica democratica’ che si riempe la bocca del riconoscimento del suo nemico mortale, in maniera totalmente inconsapevole e abracadabrante. 
In una tragedia dei valori dei padri e delle madri, per scherno della giustizia e della storia portata avanti da quelle stesse madri e dagli stessi padri, di qualsiasi forma di giustizia condivisa, in una tragedia che meno è tragedia e più farsa, in un’ipocrisia senza confini e misura.

L’ipocrisia, il vero, grande sentimento del nostro tempo.

Quel sentimento che, mentre dice di volere qualcosa, punta ad ottenere qualcos’altro, è già qualcos’altro.

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Non spetta a chi fa filosofia dire cosa fare. Spetta a chi fa filosofia, nel senso vero del termine, chiedersi e provare a rispondere. In pubblico.
Chi fa filosofia mette davanti uno specchio. E impone di guardarsi in quello specchio.