di Luciano Marabello (ITA_19.04.2020) (qui la terza parte, qui la seconda, qui la prima)
Quali taglie dello spazio useremo nella città post pandemica: S, M, L, XL? Apparentemente la necessità di distanza richiederebbe per lo spazio solo taglie grandi e taglie extra, mentre la nostra vita in questi giorni, di fronte al deserto urbano dilatato dall’assenza degli abitanti, ci ha riportato ad una misura esperienziale dello small domestico in cui abbiamo vissuto, lavorato, giocato, sostato. Cosa succederà nello stare compressi tra le taglie piccole e quelle grandissime? Vedremo il declino e la sparizione degli spazi medi?
Sia l’evanescenza del passaggio dei corpi che la permanenza dell’architettura richiedono un sistema di misura. Per l’architetto, lo spazio è il mezzo attraverso il quale emerge la forma ed è costruito l’abitare. Quindi, come in ogni occasione eccezionale, gli architetti e gli artisti tradurranno o interpreteranno le domande sociali e forse anticiperanno le soluzioni o forse le sposteranno su un terreno di nuove domande.
I temi che gli architetti dovranno affrontare sono quelli della misura, dell’abitazione dello spazio domestico e della città, della configurazione di nuovi spazi flessibili e sensibili ai cambiamenti progettati o incidentali.
La crisi forse cambia e cambierà la città, i territori e gli spazi pubblici, ma non sappiamo come sarà declinata l’ansia dello stare a distanza. Cosa ci riserva un mondo che mantiene la distanza per vedere e non toccare, che seleziona i nodi e gli intrecci e mantiene le rette su giaciture parellele senza o con poche intersezioni. Un mondo concettuale neo-quattrocentesco in cui il dato empatico è rappresentato dalla visione in qualche modo nuovamente prospettica e temporaneamente poco frattale.
Se gli effetti pratici che hanno determinato la pandemia li manteniamo nella dimensione contingente, evitando la torsione immunitaria, potremmo ancora una volta ricalibrare (con altri mezzi e altre misure) la dimensione comunitaria.
PS: per festeggiare la liberazione da tutto questo attingo dal Formulario per un nuovo urbanismo di Gilles Ivan delle indicazioni di metodo su come comportarsi:
«L’attività principale degli abitanti sarà la deriva continua. Il cambio di paesaggio da un’ora all’altra sarà responsabile di un completo spaesamento. La coppia non trascorrerà più le notti presso la propria casa d’abitazione e ricevimento, ragione sociale di banalizzazione abituale. Le stanze dell’amore saranno distanti dal centro della città: si ricreerà in modo affatto naturale, per i partner, la nozione di eccentricità, in un luogo meno esposto alla luce, più celato, in modo da ritrovare un clima di segretezza. Il percorso opposto, la ricerca di un centro del pensiero, deriverà dalla stessa tecnica. Più tardi, a causa dell’inevitabile usura dei gesti, questa deriva lascerà in parte il dominio del vissuto per quello della rappresentazione.»