FRANCESCO BIAGI [ITA_25/08/2019]
A Città del Messico, nella rotatoria in cui confluiscono il Paseo de la Reforma e le vie Florencia e Río Tíber, si innalza la Colonna dell’indipendenza, più conosciuta come el Ángel de la Independencia. In realtà, la figura che sovrasta la colonna non è un angelo, ma la dea greca Nike, ovvero la dea alata della vittoria. Il monumento, compiuto nel 1910, era stato fortemente voluto da Porfirio Diaz per celebrare l’indipendenza del Messico. Non c’è qui lo spazio necessario per argomentare al riguardo, ma ci basti pensare a Porfirio Diaz come uno dei dirigenti politici che ha normalizzato la rivoluzione messicana e il potere costituente espresso dai movimenti sociali contadini di Pancho Villa e Emiliano Zapata, perseguitandoli per imporre il suo dominio.
Com’è noto, nel mese di agosto il Messico è stato attraversato da diverse manifestazioni femministe al ritmo dello slogan “Di me si prendono cura le mie amiche non la polizia” (A mí, me cuidan mis amigas, no la policia), per protestare contro gli stupri perpetrati dalla polizia di Città del Messico nei confronti di due giovani donne adolescenti.1 Tali cortei si sono in seguito sviluppati in nome di un altro slogan: “Se domani tocca a me (essere stuprata), se domani non torno, distruggi tutto” (Si mañana soy yo, si mañana no vuelvo, destrúyelo todo). La presa di parola del movimento femminista è forte e radicale: il Messico è uno dei Paesi con più alto tasso di femminicidi e le azioni governative finora sono state insufficienti. Spesso hanno messo al primo posto un’idea di sicurezza maschilista e machista, dove – ecco qui il paradosso contro cui è avvenuta la protesta – il protagonismo è sempre e comunque lasciato agli uomini e alle istituzioni come la polizia, senza riflettere su una reale partecipazione ed emancipazione costruita dalle donne stesse.
In seguito, il dibattito politico nel Paese si è acceso squalificando le azioni politiche collettive intraprese dal movimento femminista, infatti ai “benpensanti” non sono piaciuti gli atti performativi nei quali si lanciava del glitter addosso a dirigenti politici delle istituzioni, a negozi e monumenti o si distruggeva con veri e propri riot negozi, uffici, pannelli di pubblicità nelle metropolitane ecc ecc che il movimento riconosceva come portatrici della violenza machista e patriarcale.
Una delle riflessioni principali che si voleva porre era il fatto che vetrine, negozi, pannelli pubblicitari e monumenti possono essere ristrutturati, ricostruiti mentre la vita di una donna stuprata no, essa rimane segnata per sempre: ed è a partire da questa constatazione che il movimento femminista ha criticato la neo-governatrice Claudia Sheinbaum Pardo, eletta sulla scia del successo del Partito Mo.re.na. di Lopez Obrador, attuale presidente del Messico. Com’è noto, Mo.re.na. e Lopez Obrador si sono fatti promotori di un discorso politico fortemente innovatore e progressista con la volontà di guardare ai problemi sociali che affliggono il Messico, tuttavia dalla presa del potere nel dicembre 2018 ad oggi, pochi sono i fatti che corrispondono alle promesse della campagna elettorale. Questo è il quadro entro il quale voglio inserire la mia riflessione e gettare luce sulla scelta del gruppo di restauratrici che avrebbe dovuto ripulire la città e il monumento dell’Angelo citato in premessa.
Le restauratrici, in solidarietà al movimento femminista e contro il dibattito che ne criminalizza le pratiche politiche, hanno dichiarato il loro netto rifiuto di rimuovere le scritte di denuncia e il glitter lanciato nelle piazze e nei monumenti, fino a che il problema della violenza contro le donne non sarà risolto in Messico.2 Tale scelta politica ci fa necessariamente riflettere sulla politicità dei monumenti e dello spazio urbano. Henri Lefebvre e Guy Debord, nelle riflessioni sulla Comune di Parigi, registravano motivazioni simili che si esprimevano attraverso l’intervento diretto sui monumenti e sull’architettura della città. I comunardi hanno abbattuto la Colonna Vendôme in quanto simbolo del potere imperiale napoleonico, qui le restauratrici (e ancor più il movimento femminista), a mio parere, fanno lo stesso: il monumento non è stato abbattuto, ma per i benpensanti è stato “imbrattato” e di conseguenza rovinato, al contrario, la funzione sociale del monumento si trasforma, diventa politico nel detournement della denuncia espressa nelle parole scritte con lo spray e nel glitter lanciato. La Colonna dell’indipendenza deve rimanere così, non può essere ripulita e lavata, in quanto è necessario che rappresenti l’autentica realtà del Messico: un Paese che uccide, stupra e sfrutta le donne, arruolando fra i suoi principali attori persino le forze di polizia. Il collettivo Restauradoras con Glitter ha scritto in un comunicato stampa: “il patrimonio culturale può essere restaurato, nonostante le donne violentate, abusate sessualmente e torturate non torneranno a essere quelle di prima; le donne scomparse continueranno a essere aspettate da chi le piange e quelle assassinate non ritorneranno più a casa. Le vite perse non posso essere restaurate, il tessuto sociale, sì!”.3 Infine, hanno aggiunto: “Consideriamo che, per il suo alto riconoscimento sociale, storico e simbolico, le pitture (di glitter, spray ecc) devono essere documentate minuziosamente, con l’obiettivo di enfatizzare e mantenere viva la memoria collettiva su questo evento e sulle sue cause.”4
Lefebvre, riguardo alla Colonna dell’indipendenza parlerebbe di spazio “fallico-video-geometrico”, ovvero uno “spazio astratto” che rappresenta la simbologia sovrana dell’altezza e della lunghezza come espressione dei propri centri di potere: alte torri, alti palazzi, alti monumenti (La produzione dello spazio, Moizzi, 1976, p. 281 e pp. 277-282). Inoltre, un monumento “non può essere innocente” scrive il sociologo francese (La proclamation de la Commune, Gallimard, 1965, p. 394) e con questo indica il fatto che l’azione politica agita in comune dà inizio a una nuova dimensione spaziale concordata collegialmente dai soggetti oppressi che irrompono sulla scena della città, ovvero ciò che nel vocabolario lefebvriano viene definito come “spazio di rappresentazione” contro “la rappresentazione dello spazio” (La produzione dello spazio, cit., pp. 54-55 e 59).
La scelta del collettivo Restauradoras con Glitter è profondamente politica e attiene a una precisa organizzazione spaziale da ribaltare in quanto espressione della violenza maschile sulle donne. L’architettura definisce la nostra vita quotidiana e gli spazi in cui viviamo, i quali non sono neutri: ancora, Lefebvre parlava della città come “la proiezione della società nel territorio” (Il diritto alla città, Ombre Corte, 2014, p. 63) ed è proprio nello spazio urbano che vengono proiettate le medesime ingiustizie e i medesimi soprusi della società in cui viviamo.
Note:
3 Ibidem.
4 Ibidem.