Elvis Zoppolato (ITA_28.07.19)
Un mannat è una sorta di alleanza divina con Allah: se il dio realizza uno dei tuoi desideri, tu devi fare qualcosa in cambio per lui. La promessa del padre di Wali era che se avesse avuto un figlio, questi sarebbe cresciuto per diventare un leader e un servitore dell’Afghanistan. Il bambino nacque e il desiderio si era realizzato, bisognava quindi onorare il dio. I genitori di Wali decisero di trovargli un nome che rappresentasse il suo scopo nella vita: Wali significa “governatore”; Walimohammad il “governatore dei musulmani”. Il bambino si sarebbe chiamato Walimohammmad perché era nato per diffondere le meraviglie dell’Islam.
Il padre fu lapidato e ucciso dai talebani quando Wali aveva appena due mesi. Wali è cresciuto pensando che suo padre fosse in un luogo bellissimo, il paradiso. Gli spiegarono che era possibile visitarlo se avesse voluto; per farlo avrebbe dovuto reclutarsi nel centro dei talebani del suo villaggio, poi in quelli del Pakistan. Facendosi saltare per aria con la cintura esplosiva avrebbe ottenuto un posto in paradiso vicino a suo padre: a raccontargli questo furono sua madre e suo zio.
Questo era il destino che spettava a Wali; conoscenti, amici, maestri, familiari e soprattutto sua madre lo incoraggiarono sin da piccolo a farsi esplodere in nome di Allah. Scrive nel suo libro Ho rifiutato il paradiso per non uccidere: “tu mi obbligavi ad andare alla madrasa, e io non ci volevo andare sai perché? Perché mi volevano mandare come altri ragazzini a compiere gli attentati. Mi fa male pensare che a te non avrebbe fatto male se mi fossi fatto saltare in aria, tu sei stata l’unica donna il cui figlio non si è arruolato e ha smesso di andare alla madrasa”. L’unica donna: significa che tutti gli altri si sono fatti esplodere. Wali è l’unico sopravvissuto del suo gruppo di amici dell’infanzia.
Suo padre era un medico, si era formato in Russia ed era tornato in Afghanistan per cercare di aiutare la gente del suo Paese. Predicava la libertà di pensiero e per questo è stato ammazzato. Wali ha scoperto la verità su di lui quando aveva 14 anni, grazie alla nonna paterna che ha deciso di rischiare la propria vita per salvare la sua. Oggi Wali ha 23 anni, vive in Italia e sta scrivendo diversi libri per raccontare la sua storia; sua sorella studia medicina a Kabul mentre la madre continua a vivere nella provincia del Nangarhar dove è soprannominata la “mamma dell’infedele”.
La vita di chi nasce in Afghanistan è scritta sin dalla nascita. I talebani controllano buona parte del paese e l’indottrinamento religioso di cui è vittima la popolazione afgana è spaventosamente totalizzante. Ricordiamo che in passato le donne afghane non portavano il velo, avevano i loro diritti e godevano di un certo margine di libertà. L’Islam esisteva anche ai tempi e non aveva nulla a che vedere con il terrorismo. Poi nel 1979 è cominciata la guerra e da lì l’Afghanistan è diventato un teatro di violenze senza fine. In diverse province, soprattutto quelle più povere (come quella del Nangarhar dove è cresciuto Wali), o nelle zone rurali dove la presenza del governo è molto debole, non esistono più le scuole normali: niente matematica, niente scienza, niente letteratura – niente che possa stimolare il ragionamento critico e la libertà di pensiero. Esistono invece le madrasa, delle scuole pubbliche o private ampiamente autonome di educazione religiosa, dove viene predicato il fondamentalismo islamico. In questi centri l’unica cosa che viene insegnata è la lettura del Corano; si tratta di un’interpretazione estrema e strumentalizzata del Corano e per questo sono accusate di radicalizzare gli studenti. Essendo molte di queste scuole indipendenti dal governo e gestite dalle comunità locali, è davvero difficile sapere cosa accade veramente dietro quelle mura.
Oggi Walimohammad Atai vive nella provincia di Pavia e dirige un centro di accoglienza nel comune di Zavattarello; lavora, inoltre, come interprete giurato nel tribunale di Pavia dopo essersi laureato in Scienze della Mediazione Linguistica. È autore del libro Ho rifiutato il paradiso per non uccidere e ha fondato assieme alla sorella Salma l’associazione FAWN (Free Afghan Women Now), associazione operativa in Afghanistan che si occupa di diritti umani ma attiva anche in altri settori come la coltivazione dell’oppio. Ricordiamo che l’Afghanistan è il primo produttore di oppio del mondo e questo business sta distruggendo la vita della popolazione locale. I talebani obbligano i contadini a coltivare il papavero da oppio, le cui piantagioni hanno sostituito quelle di culture più sostenibili. I volontari di Fawn hanno rischiato la vita per parlare con alcuni di questi contadini e convincerli ad abbandonare la coltivazione del papavero da oppio; nel frattempo il livello di tossicodipendenza in queste aree geografiche è aumentato problematicamente.
Di storie come queste ne esistono tante ma noi ne sappiamo poco o nulla. Ci siamo abituati ad accettare il fatto di non sapere nulla di quelle zone del mondo devastate della guerra e di vivere nell’ignoranza. I giornali ne parlano poco e male, il talkshow della politica italiana occupa tutto lo spazio. Gli immigrati continuano ad arrivare – se arrivano – ma noi abbiamo smesso di chiederci chi sono e da cosa scappano. La storia di Wali ci obbliga a riflettere sul perché delle cose.