Marx oltre i luoghi comuni (recensione)

ANDREA CENGIA [ITA_01.12.18]

La ricorrenza per i duecento anni dalla nascita di Karl Marx ha visto e vede tutt’ora la pubblicazione di una serie di articoli e libri che rendono omaggio all’importanza dell’autore del Capitale. A questo ricco panorama editoriale si è recentemente unito un agile, ma importante, libro di Paolo Ferrero intitolato Marx oltre i luoghi comuni (DeriveApprodi 2018, €14). La rilevanza di questo scritto sta tutta, a mio avviso, nell’operazione politico-culturale che vi è sottesa. Ciò che emerge da una prima lettura riguarda la finalità che l’autore si è dato nello scrivere un testo su Marx. Dal testo sembra infatti emergere che non si tratta di un ulteriore tentativo specialistico di scavo archeologico tra le carte marxiane. Ferrero non punta a enfatizzare un concetto determinato o a rilanciare alcune parole d’ordine della sterminata produzione marxiana. E infatti lo scopo del testo non si esaurisce nemmeno in un’azione celebrativa. Ciò che lo caratterizza è piuttosto un’operazione politico culturale importante, volta a proporre una sorta di introduzione al pensiero marxiano per chi conosce poco o nulla delle vicende umane, politiche e teoriche del grande autore del Manifesto del partito comunista[1]. Anzi il potenziale lettore di questo testo potrebbe appartenere alla categoria sociologica dei cosiddetti ‘giovani’, incuriositi dalla storia politica e dal pensiero di questo pilastro ottocentesco della storia del pensiero politico. Riuscire ad avvicinare a Marx chi non lo conosce ancora sembra quindi l’obiettivo primo che Ferrero si sia dato. Il testo punta quindi a far riemergere Marx, pensatore che secondo l’Unesco rimane «l’autore più letto e studiato al mondo»[2], nella sua interezza, lontano dai tentativi interessati di chi, enfatizzando parti del suo pensiero dopo averle sradicate dall’insieme, ha come scopo quello di «cercare di utilizzare il pensiero prodotto da Marx per perpetuare il dominio del capitale»[3]. Leggere Marx integralmente significa perciò mostrarne l’azione rivoluzionaria quale elemento costitutivo della sua biografia senza separarlo dalla necessaria riflessione teorica. Per compiere questa operazione, l’autore sceglie di scandire il testo in tre parti. Innanzitutto vengono presentate la vita e il pensiero (qui riproponendo un efficace saggio di Bruno Morandi). Infine uno spazio autonomo di riflessione è dedicato ai fraintendimenti del pensiero di Marx messi in atto dalla storia del pensiero politico che a Marx si è richiamata, non sempre aderendo allo spirito delle idee dell’autore del Capitale.

Iniziare il testo con una breve biografia di Marx non significa per l’autore riproporre l’ennesima carrellata degli eventi che caratterizzarono gli slanci politici (Marx. Il rivoluzionario) e le difficoltà famigliari (Il povero Marx). Piuttosto le scansioni scelte per questo capitolo alludono alla figura di un teorico e politico che a causa delle sue idee e delle sue azioni politiche riceve ‘fogli di via’ in quasi tutti i paesi europei più importanti che lo hanno ‘ospitato’. Ferrero quindi parte da il giovane Marx, titolo che volutamente evoca il recente film di Le jeune Karl Marx di Raoul Peck (di cui si è parlato anche in questa sede). Sono gli anni in cui Marx spende le sue energie per battaglie politiche che si richiamano alla tradizione democratico-radicale[4]. Quello che Ferrero ritiene opportuno segnalare è che uno dei baricentri più significativi del pensiero anche del giovane Marx si configura nel significato che quest’ultimo attribuisce alla parola lotta e alla parola sottomissione. Per Ferrero questi due vocaboli «si possono anche declinare insieme: la lotta alla sottomissione, la lotta come strumento per liberarsi dalla sottomissione»[5]. Nel far questo Marx, autore difficilmente classificabile secondo una tradizionale segmentazione del sapere, si mostra come colui che propone un approccio conoscitivo certamente in controtendenza rispetto alle discipline classiche, incapaci singolarmente di padroneggiare il modo di produzione capitalistico «nella sua totalità e complessità»[6].

La vita di Marx è quindi un intreccio continuo tra l’indagine della modalità di produzione sociale, definita modo di produzione capitalistico, e della lotta politica volta a denunciarne i tragici effetti esercitati sulle persone che ne subiscono il procedere. Si tratta, come segnalato molto chiaramente dal saggio di Morandi, di assumere il punto di osservazione «della realtà vista dalla strada»[7] ossia facendo proprio lo sguardo «di chi ha avuto la sventura di nascere “fattore di produzione”»[8]. Cristallino appare qui il richiamo al «segreto laboratorio della produzione»[9] evocato da Marx nel capitolo 4 del Libro I del Capitale. Il saggio di Morandi incrocia così un tema non solo centrale per la comprensione del Capitale, ma altrettanto determinante per delineare la possibilità di occuparsi di uno degli elementi trasformativi che stanno al cuore del modo di produzione capitalistico: la tecnologia. Morandi assume evidentemente la tesi che, con il modificarsi della composizione tecnologica complessiva dell’universo-fabbrica, la risultante che si ottiene non coincide certo con una sorta di «progresso tecnologico»[10] favorevole alla forza-lavoro. Quanto appare sotto gli occhi di tutti coloro che assumono lo sguardo operante dal punto di vista della produzione è che la tecnologia di fabbrica (oggi si direbbe hardware e software) non «fa lavorare di meno»[11], ma riversa gli effetti della sussunzione reale capitalistica sulle vite della forza-lavoro. Il saggio di Morandi che il testo ripropone, rievoca indirettamente le parole contenute nella tesi sulla non neutralità delle macchine proposta da Raniero Panzieri nel primo numero dei Quaderni rossi, nel saggio intitolato Sull’uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo[12]. Panzieri e Morandi fanno delle tesi del Capitale il loro punto di riferimento teorico fondamentale. Questa convergenza di pensiero che accomuna Marx, Panzieri e Morandi non può essere vista oggi come il retaggio di un mondo industriale concluso con la messa in archivio del secolo passato. Al contrario, assumendo lo sguardo di fabbrica, specie in quelle regioni del pianeta dove le fabbriche, brulicanti di forza lavoro, continuano a esistere al fine di produrre beni a bassissimo costo a vantaggio delle opulente economie post-industriali occidentali, ciò che emerge è ben altro. Si scopre così che il ruolo della tecnologia, come elemento funzionale al modo di produzione capitalistico, appare oggi non un residuo otto-novecentesco, fastidioso ricordo riportato alla luce nell’epoca della asettica economia immateriale. Invece, la chiave del progresso tecnologico, come un progresso frutto di un preciso rapporto di potere che emerge archeologicamente dalla fabbrica, è, a mia opinione, quanto di più prezioso si possa cogliere dagli sforzi intellettuali della tradizione che risale marxianamente fino a Marx. Morandi non manca di chiarire che l’oggetto di studio di Marx è quello di «sviluppare sistematicamente il concetto di capitale che rappresenta il fondamento della società borghese»[13]. Se non vi è dubbio che sia questa la cornice imprescindibile all’interno della quale opera l’analisi marxiana, è altrettanto evidente che questa analisi diviene l’elemento necessario per lo sviluppo di un qualsiasi tentativo politico di emancipazione. Nelle pagine del Capitale Marx mette in luce, rispetto ad alcune conclusioni dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 l’effetto devastante che questa modalità di organizzazione delle relazioni sociali ha sui lavoratori intesi come forza-lavoro grazie al ruolo centrale della tecnologia. A causa dell’avvento dell’«ora delle macchine»[15] la forza-lavoro subisce: (a) una scomposizione delle sue abilità, (b) uno svuotamento delle proprie capacità intellettive, delegate alle macchine, e infine (c) la costituzione di un legame tutt’altro che lineare tra crescita della capacità produttiva e del benessere sociale. Questo passaggio potrebbe essere nominato come processo di alternanza tra l’incremento della produttività e la crisi produttiva[16], dinamica che innesca forme di sussunzione reale continua, secondo le direttrici del tempo e dello spazio[17]. Sono elementi che, per coloro che si avvicinano con curiosità al pensiero dell’autore del Capitale, non possono lasciare indifferenti poiché da essi è già possibile trarre un giudizio sulla condizione sociale che l’avvento del modo di produzione capitalistico ha generato lungo i secoli. Per usare il giudizio di Morandi si può affermare che «la storia della nascita del capitalismo è la storia di un’espropriazione»[18] combinata storicamente con la rivoluzione politica borghese scoccata con la presa della Bastiglia. Il testo di Morandi prosegue nell’analisi degli elementi costitutivi della ricerca marxiana, con particolare riferimento alla critica dell’economia politica e al ruolo della classe operaia, affrontando i temi della merce e valore, delle forme di plusvalore, dello sviluppo del capitale e dei suoi limiti, fino a perlustrare il tema del comunismo e fine del valore. Non occorrono invece molte parole per comprendere l’estrema importanza del lavoro di studio marxiano, durato l’arco di una vita. Nella sua forma più alta, questa ricerca prende il nome di critica dell’economia politica la cui importanza per le classi lavoratrici è per Morandi determinante. Essa, «anche se da sola non è ancora recupero del proprio comportamento, è già per gli operai recupero della propria coscienza, può essere chiamata “autocoscienza” della classe operaia»[19].

Il passaggio dalla ricostruzione teorica alla dimensione della prassi, ossia la ricerca di possibili coordinate politiche all’interno del pensiero di Marx, conduce alla parte finale del testo. Nel contributo conclusivo scritto da Ferrero emerge la necessità di disincrostare Marx da molte sedimentazioni e fraintendimenti teorico-politici che hanno prodotto quelle che l’autore chiama deformazioni del pensiero marxiano. L’interesse per questo chiarimento è una delle priorità dell’autore in quanto lo stato di cose descritto rischia di travolgere lo stesso sforzo rivoluzionario di Marx facendo rimbalzare il suo pensiero, come un «tergicristallo impazzito che va da una parte all’altra della dialettica tra classe e partito»[20]. Lo spettro di tali posizioni, che l’autore affronta solo brevemente in quanto lo scopo del testo non è certo quello di fornire una sintesi complessiva delle posizioni teoriche marxiste, va da Engels allo stalinismo. Questa disamina, com’è intuibile, potrebbe proseguire analiticamente permettendo di illuminare, alla luce di una rilettura marxiana, molti degli avvenimenti del secolo scorso dalla metà degli anni Sessanta, almeno, alla metà degli anni Novanta, comprese le vicende della politica nazionale di cui l’autore è stato diretto testimone. Tuttavia è nelle pagine finali del testo che Ferrero offre al lettore il proprio uso del pensiero di Marx all’altezza del XXI secolo. L’autore infatti propone «alcune piste di ricerca»[21] che meritano di essere prese in considerazione innanzitutto perché lo stesso sforzo rivolto al ‘che fare’ riporta il finale del testo alle motivazioni che dovrebbero spingere il lettore a iniziarne l’attraversamento. In un certo senso si potrebbe affermare che chi volesse avvicinarsi a Marx oltre i luoghi comuni dovrebbe quantomeno tenere aperta la possibilità che nel pensiero di Marx non sia contenuta una dottrina, ma una strumentazione concettuale legata a una prospettiva politica in grado di leggere il proprio presente quale orizzonte storico determinato e non naturalizzato. L’autore afferma inoltre che le relazioni sociali, ossia i soggetti sottoposti alla rigida «l’autovalorizzazione del valore»[22], sono forme di relazione e di soggettivazione artificialmente determinate[23] in una porzione di tempo storica che è necessariamente circoscritta. L’autore a questo livello chiama in causa la ricchezza teorico-politica contenuta nell’esperienza di Raniero Panzieri, pensatore e politico al cui bagaglio di studio e di lotta politica è forse opportuno tornare a interessarsi, quantomeno su un punto non secondario, ossia sul fatto che il rapporto tra modo di produzione e organizzazione politica della forza lavoro non presenta relazioni rigidamente meccaniche. È soltanto assumendo questa premessa teorica, che Ferrero pensa la sua proposta di azione politica, intesa come formazione e organizzazione delle azioni militanti che si dedichino, in primo luogo, a realizzare lo spazio politico per la costruzione di forme di solidarietà, mutualismo e socialità intese come punto essenziale per la ripartenza di relazioni sociali non piegate alla legge del valore e alle gerarchie sociali esistenti. Infine, rispetto alla condizione politico-culturale odierna, popolata dall’incertezza delle narrazioni o da tentativi di arruolamento di Marx in orbite politiche che non gli sono proprie, compiere un’azione di avvicinamento al suo pensiero è un piccolo tassello di un’operazione di presidio e di riconquista di spazi culturali che nella società odierna rischiano di essere popolati da pericolose nostalgie autoritarie.

 

[1] Karl Marx, Friedrich Engels, Manifesto del Partito comunista, (tradotto da) Palmiro Togliatti, Roma, Editori riuniti, 1981.

[2] Paolo Ferrero, Marx oltre i luoghi comuni, DeriveApprodi, 2018, p. 68.

[3] Ibidem, p. 9.

[4] György Lukács, Il giovane Marx, Piergiorgio Bianchi (a cura di) , Napoli-Salerno, Orthotes, 2015.

[5] Paolo Ferrero, Marx oltre i luoghi comuni, DeriveApprodi, 2018, p. 16.

[6] Ibidem, p. 59.

[7] Ibidem, p. 84.

[8] Ivi.

[9] Karl Marx, Il capitale: Critica dell’economia politica. Libro primo, (tradotto da) Delio Cantimori, Roma, Ed. Riuniti, 1989, p. 208.

[10] P. Ferrero, op.cit., p. 84.

[11] Ivi.

[12] AA. VV., Quaderni rossi 1, Roma, Nuove edizioni operaie, 1961.

[13] P. Ferrero, op.cit., p. 95.

[14] Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Norberto Bobbio (a cura di) , Torino, Einaudi, 1968. Si veda anche la recente edizione Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, (tradotto da) Enrico Donaggio, Milano, Feltrinelli, 2018.

[15] K. Marx, Il capitale Icit., 517–518..

[16] P. Ferrero, op.cit., p. 85.

[17] Ibidem, p. 86.

[18] Ibidem, p. 88.

[19] Ibidem, p. 118.

[20] Ibidem, p. 205.

[21] Ibidem, p. 207.

[22] K. Marx, Manoscritti del 1861-1863cit., 15–16.

[23] Ivi.